Il 1996 fu l’ultimo anno in cui vinificai nel mio palmento. Una foto ritrae la mia figlia maggiore ancora col pannolino dentro il torchio, mentre guarda la macchina con l’aria fiera di chi sta compiendo una grade impresa. Quando la scattai ancora non sapevo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato. A fine vendemmia, infatti, mi comunicarono che per continuare a usare i fermentini del palmento (i ritorna), avrei dovuto ricoprire non solo i fermentini, ma tutti gli ambienti con mattonelle di ceramica lavabili. Ma quelli erano fermentini realizzati nel primo ‘800 e impermeabilizzati con mattonelle di cotto siciliano! Mi rifiutai. Era uno scempio travolgere e sconvolgere 150 anni di storia. Per 25 anni non li ho più utilizzati, sono diventati il nostro piccolo museo in cui abbiamo conservato strumenti e macchinari di un periodo che definirei quasi “eroico”. Quel mondo coi suoi profumi e le sue cantilene, con le filastrocche in dialetto per dare il ritmo agli operai e alleviare la stanchezza, però mi mancava. Mi intristiva pensarlo come un passato di lavoro ma anche di serenità e compartecipazione perso per sempre. Oggi però esistono resine trasparenti per uso enologico che mi consentirebbero di trattare le antiche mattonelle di cotto e utilizzarle rispettando le normative igieniche. E allora, perché non lavorare a questo nuovo progetto?
Cammino nel mio palmento, controllo le vasche, programmo i passaggi di questo nuovo percorso, già sento che le pareti, gli attrezzi, tutto ricomincia a vivere.
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